Pernice bianca & co.: la salvezza è nei rifugi
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L’avifauna delle Alpi, e in particolare quella delle alte quote (praterie montane e ambienti nivali) è composta da specie adattate ai climi freddi, come la pernice bianca, il fringuello alpino, il sordone e lo spioncello.
Si tratta di uccelli plasmati dall’evoluzione per sopravvivere in condizioni ambientali difficili, rimaste sostanzialmente uguali a sé stesse per tempi lunghissimi, caratterizzate da climi rigidi e scarse risorse. Tuttavia, il rapido affermarsi di nuovi scenari climatici fa sì che gli ambienti popolati da queste specie vengano a trovarsi a rischio di scomparsa o di forte riduzione. Le Alpi si stanno infatti riscaldando al doppio della velocità media del pianeta, con una situazione che già oggi fa segnare un +2°C rispetto all’epoca pre-industriale. Per via di tale tendenza, il bosco si espande in modo rapido verso quote più elevate, invadendo le zone aperte di prateria. Tale tendenza determina profondi cambiamenti nell'ambiente alpino, tra cui la rapida espansione di alberi e arbusti verso quote più elevate, a spese della prateria alpina. Questo, per le quattro specie citate, si traduce in una drastica riduzione di habitat. Nello specifico, secondo i più accreditati modelli di distribuzione delle specie, assisteremo a una perdita d’habitat ingente (sino al 30%) per tre delle quattro specie e a un innalzamento del loro areale di distribuzione di quasi 500 metri.
Cosa fare per evitare che questo scenario determini un concreto rischio di estinzione? Qui intervengono i cosiddetti rifugi climatici. Si tratta di aree che manterranno le loro condizioni di idoneità ad ospitare tali specie anche con l’affermarsi di scenari climatici più caldi, garantendo la futura sopravvivenza di tante forme di vita adattate al freddo. Tali aree saranno dunque essenziali per la biodiversità, e la loro protezione, anche rigorosa, strappandole alle mire di chi intende proseguire nella trasformazione del territorio (si pensi ad esempio agli impianti sciistici) e ciò diventa cruciale per le strategie di conservazione del prossimo futuro. I rifugi climatici possono e devono contribuire al target del 30% di aree protette (un terzo delle quali devono essere rigorosamente protette) previsto dalla Strategia europea per la biodiversità per il 2030. Tali aree dovranno altresì entrare a far parte di reti che ne garantiscano la connessione ecologica.
Ma non è tutto: anche la gestione alla microscala (i dintorni delle zone di riproduzione delle specie) dovrà essere riformulata in modo adattativo. Un esempio tipico è il pascolo, che, se organizzato in modo estensivo e programmato nel tempo e nello spazio, può contribuire al mantenimento degli habitat selezionati dalle specie a rischio. Aiutare tali specie ad adattarsi è dunque, entro certi limiti, possibile. Noi dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per favorire la loro sopravvivenza, anche attraverso la tutela degli ambienti alpini, così importanti per il nostro futuro e per quello della vita selvatica.
Testo di Mattia Brambilla