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John Passmore e la responsabilità ambientale

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Nel 1974 un libro del filosofo australiano John Passmore segnò, per molti versi, l'esordio della filosofia dell'ecologia e in special modo dell'etica ambientale.

di Danilo Selvaggi
 
Sono trascorsi cinquant'anni da quando, nel 1974, il filosofo australiano John Passmore pubblicò "La nostra responsabilità per la natura", opera che, per molte ragioni, può essere considerata l'esordio della filosofia dell'ecologia e, in special modo, dell'etica ambientale.
 
Il succo del libro di Passmore è il seguente: la filosofia deve occuparsi della questione ecologica come della questione più importante del nostro tempo, e tuttavia deve farlo non ricorrendo al misticismo, al pensiero orientale o alla sacralizzazione della natura ma usando le categorie della logica e della scienza.
 
Convinzione di Passmore è che l'etica sia un abito, un'esperienza profonda che si forma nei secoli. Dunque, non dobbiamo rivolgerci ad altre tradizioni cercando di farle nostre ma dobbiamo attingere alla nostra tradizione culturale (che è molto più fertile di ciò che crediamo), prendendo il meglio, usandolo al meglio e così contribuendo al cambio di attitudini culturali e pratiche.
 
In effetti, sostiene Passmore, oggi sono proprio la logica e la scienza a dimostrarci l'insostenibilità di certe convinzioni tradizionali: l'essere umano "despota della natura", la natura inerme a sua totale disposizione, l'eccesso di utilitarismo, l'innocuità dei nostri atteggiamenti distruttivi, come se distruggere il pianeta non avesse alcuna conseguenza negativa rilevante.
 
La particolarità dell'essere umano, dice Passmore, sta nell'elaborare una riflessione sui suoi stessi comportamenti e, nel caso, criticarli. Questo deve fare la filosofia dell'ecologia: criticare la visione ortodossa del rapporto umanità-natura e assumere la natura come qualcosa di essenziale per le nostre vite, da trattare molto diversamente da come abbiamo solitamente fatto. Assumerla come qualcosa per la quale siamo fortemente responsabili.
 
L'opera di Passmore vedeva la luce in un momento in cui la cultura stava accentuando la divisione in due: da un lato il pensiero tecnico-produttivistico, dall'altro la controcultura, con i suoi tanti risvolti tra cui il sospetto per il pensiero logico-scientifico. Una spaccatura che preoccupava Passmore perché, in sostanza, non ci avrebbe aiutato a venire a capo del problema.
 
Aggiungo quattro cose:
 
1) "La nostra responsabilità per la natura" è stato uno dei 5 o 6 libri che hanno fatto nascere il mio interesse per la filosofia dell'ecologia e più in generale per l'ecologismo. Lo lessi all'Università, a fine degli anni Ottanta, e mi aiutò anche a rivedere criticamente alcune convinzioni. Non posso dirmi un fan totale di John Passmore ma devo ringraziarlo molto;
2) cinquant'anni dopo i timori di Passmore si sono rivelati fondati. Anzi, fondatissimi. La spaccatura tra una visione tecnico-scientifica e una visione "mistica" o comunque "poetica", è forte anche all'interno dell'ecologismo, e si sta allargando. No good. È una spaccatura che porta a nulla di buono;
3) questi cinquant'anni hanno visto un gran fermento di ecofilosofia, intesa in senso specifico e in senso generale. Tra le elaborazioni ce ne sono alcune che vanno in direzione di un superamento della dicotomia descritta da Passmore. Ad esempio, una parte del pensiero complesso fa esattamente questo: pone la scienza-tecnica e la poesia nello stesso sistema vitale. Dice: noi siamo entrambe le cose e abbiamo bisogno di entrambe le cose;
4) io la penso esattamente cosi. Credere che siamo soltanto tecnica, o soltanto poesia, è miopia, riduzionismo. Soprattutto, è un modo per limitare gravemente l'efficacia del nostro ecologismo.
 
Non è possibile essere responsabili delle nostre azioni se non abbiamo ancora capito la fonte, la natura e il significato delle nostre azioni. Cioè, se non abbiamo capito come siamo fatti davvero.
Immagine
La nostra responsabilità per la natura © Lipu