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Scienza e cambiamenti climatici

Con cambiamenti climatici si intendono variazioni a lungo termine delle temperature e dei pattern meteorologici, comunemente causate dall’aumento delle emissioni di gas climalteranti come la CO2 (anidride carbonica) e il CH4 (metano). 

Dal 1800 le attività umane sono state il principale motore del cambiamento climatico. Le attività che prevedono l'utilizzo di combustibili fossili, in special modo il petrolio, il carbone e il gas, così come la deforestazione, l'agricoltura intensiva e gli allevamenti industriali, hanno contribuito a produrre un "effetto serra" eccessivo: una cappa di gas che comporta l'accumulo di energia termica nell'atmosfera con conseguente innalzamento delle temperature e dei fenomeni atmosferici connessi. 

Si tratta di uno dei problemi ambientali e sociali più gravi dei nostri tempi, con conseguenze devastanti, a breve, medio e lungo termine per le società umane, la biodiversità e in generale gli equilibri del pianeta.

Noto alla scienza già da molti decenni, il problema ha assunto centralità negli ultimi anni in particolare con l'istituzione dell'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), l'organismo scientifico delle Nazioni Unite specificamente dedicato allo studio del problema. Il lavoro dell'Ipcc consiste principalmente nell'elaborazione di rapporti che valutano lo stato delle conoscenze scientifiche, tecniche e socioeconomiche sul cambiamento climatico, sulle sue cause e dinamiche, sugli impatti, sui rischi futuri e sulle opzioni per mitigare il fenomeno e adattarsi ad esso.

Dalla sua istituzione, avvenuta nel 1988, l'Ipcc ha prodotto sei rapporti, che rappresentano la summa delle conoscenze scientifiche del problema e un punto di riferimento per chiunque voglia conoscere ed approfondire la questione.

Pur nella straordinaria complessità del fenomeno, che chiama in causa i più svariati fattori fisici, chimici, meteorologici, ambientali, è ormai fuori discussione che i cambiamenti climatici in atto siano in gran parte di origine antropica e che, in assenza di una correzione dei processi in termini di mitigazione e adattamento, le conseguenze saranno estremamente gravi.

Secondo vari studi, la percentuale degli scienziati di tutto il mondo convinti dell'origine antropica dei cambiamenti climatici va dal 90% a quasi il 100%. Limitatissima, sebbene molto attiva, è al contrario la componente scientifica che nega ovvero minimizza l'origine antropica dei cambiamenti climatici (il cosiddetto "negazionismo climatico"), puntando invece sulla naturalità e ciclicità del fenomeno o comunque sull'incertezza scientifica che tuttora lo caratterizzerebbe.

In realtà, la letteratura scientifica, oramai sterminata, chiarisce oltre il ragionevole dubbio la matrice antropica del fenomeno, ne illustra le caratteristiche sotto vari punti di vista e ne evidenzia le connessioni - sotto il profilo sia delle cause che degli effetti - con l'altro grande problema ambientale dei nostri tempi: la perdita di biodiversità. 

Le due crisi, in effetti, sono strettamente legate e non caso il lavoro dell'altro grande organismo scientifico delle Nazioni Unite, l'Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) è strettamente connesso al lavoro dell'Ipcc, mettendo anche in luce come la crisi climatica porti a un aggravamento della perdita di natura (habitat, siti, specie) e, al tempo stesso, la perdita di natura aggravi la crisi climatica.

Un circolo vizioso potenzialmente devastante che la politica, la cultura, la scienza, le società umane devono spezzare, per invertire la rotta e dare speranza al pianeta.

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Un ghiacciaio delle isole Svalbard (Norvegia)
Un ghiacciaio delle isole Svalbard (Norvegia) © Marco Gustin