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Lobbying: una legge per la natura e la democrazia

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Arriva in aula a Montecitorio la regolamentazione della rappresentanza degli interessi. Una legge attesa da anni ma che un pessimo emendamento rischia di stravolgere. Lipu e Coalizione #lobbying4change sono al lavoro

Danilo Selvaggi, direttore generale della Lipu – BirdLife Italia

Il lobbying non è l'arte del demonio ma il tentativo di influenzare la politica in modo che tenga conto degli interessi rappresentati e delle ragioni alla loro base. Lobbies sono i piccoli gruppi e i grandi poteri, le società a difesa del petrolio e le organizzazioni a tutela di natura, animali, diritti civili, cultura. Tutti fanno o devono poter fare lobbying, nell’interesse correttamente rappresentato. Eppure l'idea che prevale è quella negativa di un’attività oscura, fatta di giochi sotterranei e corruzione. Perché?

A dare del lobbying un’immagine così opaca hanno contribuito, nel tempo, almeno tre fattori.

Il primo (e non sembri un fatto marginale, solo di costume) è la narrazione prevalente che ne danno il cinema e la letteratura. Da Tempesta su Washington (Henry Fonda diretto da Otto Preminger) a Thank you for smoking, i lobbisti sono solitamente raccontati come anime nere, abili e ciniche, al servizio del male o di sé stessi. Storie intriganti, racconti avvincenti ma con un’immagine finale della politica (e della stessa società) generalmente negativa.

Il secondo è la sfiducia di fondo nel potere e nelle istituzioni presente in molta parte della società civile. Alla base della quale sfiducia c’è la convinzione che l’istituzione sia sempre potere e che il potere sia sempre male, perché sempre potere su qualcosa (e non anche potere di, per, con). Un errore grave, logico prima ancora che politico e storico, che banalizza l’idea di potere e rinuncia alla buona frequentazione (nonché, chissà, al buon governo) delle istituzioni.

Il terzo fattore - e veniamo così al dunque - è l'assenza diffusa, in Italia, di regole che strutturino il settore. Rifuggito dalla società civile, lasciato sostanzialmente a sé stesso, il lobbying può svolgere più o meno la politica che crede, intrattenere le relazioni come crede, agire quasi solo secondo coscienza e possibilità, al netto delle poche altre norme esistenti, con i rischi e le disfunzioni del caso.

Da mezzo secolo l’Italia attende invano una regolamentazione del lobbying. La proposta di legge che arriva finalmente nell’Aula della Camera dei Deputati, dopo le votazioni in Commissione Affari Costituzionali, relatrice l’onorevole Baldino (M5S), rappresenta un tentativo importantissimo di colmare questo vuoto e cambiare i termini del gioco. Cioè, favorire la trasparenza dei processi decisionali, rendere più consapevoli e informate le decisioni della politica, stimolare a una migliore struttura le stesse associazioni, per le quali è tempo di fare un salto di qualità in termini di organizzazione, formazione, risorse, efficacia.

Finalità importanti, alle quali ne va però aggiunta un’altra che è forse ancor più di rilievo: il bilanciamento delle forze in campo. La legge sul lobbying deve far sì che gli interessi rappresentati possano godere di condizioni più eque di quelle che esistono in partenza. Meno squilibrio tra le possibilità enormi dei grandi gruppi imprenditoriali e quelle ben più contenute delle organizzazioni più piccole. Le quali, peraltro, spesso rappresentano gli interessi più generali e civici, più diffusi tra la gente. I beni della collettività.

Tutto bene? Purtroppo no. Un emendamento bypartisan approvato in Commissione rischia di falsare l’intero processo e rendere la legge sul lobbying addirittura dannosa. E’ l’emendamento (all’articolo 3) che esclude dall’applicazione della legge le organizzazioni imprenditoriali (e sindacali) maggiormente rappresentative a livello nazionale nonché le loro articolazioni territoriali e di settore.

Cosa significa? Significa che mentre la Lipu (per fare un esempio tra mille) dovrà sottostare alle regole impegnative, ancorché giuste e auspicate, previste dalla legge, Confindustria, Coldiretti e analoghe ne saranno esentate. Per loro la legge non esisterà. Continueranno, as usual, a non dover rendere conto.

Una decisione incredibile, il cui risultato sarebbe una doppia discriminazione: interna alle organizzazioni imprenditoriali tra quelle più rappresentativa e quelle meno, e nella società in generale, tra le associazioni imprenditoriali e tutte le altre.

Una decisione ancora più incredibile se si pensa che, in molti casi, la contesa nel lobbying mette di fronte direttamente associazioni della società civile e organizzazioni imprenditoriali (un’area protetta contro una superstrada, un sito naturalisticamente importante contro un centro commerciale), con l’effetto di una partita assolutamente falsata nella quale le prime devono rispettare le regole della legge, le seconde no. E allora addio al tentativo di riequilibrare gli interessi, che sarebbero addirittura aumentati, ingigantiti, resi insostenibili.

Ad eccezione di Leu e 5 Stelle, tutte le forze politiche in Commissione (Italia Viva, Lega, Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia eccetera) hanno sottoscritto l’emendamento. Che non è l’unica macchia sulla legge sopraggiunta nel corso dei lavori in Commissione ma certamente è la più grave.

Da tempo impegnate per sostenere l’approvazione della legge, le 32 associazioni che compongono la coalizione #lobbying4change, tra cui la Lipu, coordinate da The Good Lobby, hanno chiesto le ragioni di questa scelta infelice ai parlamentari e alle rispettive forze politiche, non ricevendone alcuna - il che dipende, a nostro avviso, dal fatto che non c’è una sola ragione sensata che possa giustificare la scelta. E tuttavia la scelta è stata fatta e rischia davvero di compromettere, mandare all’aria il prezioso lavoro svolto.

Chi desidera davvero una legge che rende i potenti ancora più potenti e illumina le cose soltanto a metà?

La politica italiana ha un grande bisogno di chiarezza, qualità e buone regole. Ne ha bisogno, in questi tempi più che mai, per riconquistare la fiducia della gente e favorire pratiche migliori di democrazia e di partecipazione. In tal senso, la legge per regolamentare il lobbying non è affatto un passaggio marginale ma un’occasione cruciale da non perdere.

Non rafforziamo l’immagine cinematografica per cui il lobbying è solo giochi diabolici e intrighi di palazzo. Non rilanciamo la visione populista secondo cui la politica è solo politica, è solo potere e interessi di parte. Correggiamo questa legge e approviamola. Proviamo a diventare una democrazia più matura, un Paese migliore.

 

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Paolazzo Montecitorio, foto Hermsdorf-iStock foto Hermsdorf-iStock © Paolazzo Montecitorio, foto Hermsdorf-iStock foto Hermsdorf-iStock