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Ortolano © Gianfranco Cinelli, Emanuela Zucchelli

Ortolano

Emberiza hortulana

Ordine
Passeriformes
Famiglia
Emberizidae
Nome scientifico
Emberiza hortulana
Habitat
Ambienti misti mediterranei
- altri habitat
Praterie
Coltivi
Arbusteti
Strategia migratoria
Migratrice a lungo raggio
Lunghezza
15-16,5 cm
Lista rossa italiana
Estinto Minacciato Rischio minimo

VU - Vulnerabile
Stato di conservazione
Cattivo
Ascolta il canto

Descrizione

Il piumaggio mostra testa grigia e tinte giallastre sulla gola, che contrastano con il dorso bruno e i margini rossicci sulle penne delle ali. Ventre aranciato molto evidente nel maschio, femmina più opaca. Specie tendenzialmente granivora, durante la nidificazione affianca a una dieta composta in gran parte da semi e bacche, insetti e altri invertebrati, le cui larve appaiono fondamentali per l’allevamento dei pulcini. 

Generalmente, la presenza dell’Ortolano è associata alla disponibilità di alberi sparsi e a regioni temperate o calde, con buon irraggiamento solare e ridotte precipitazioni. Nel vecchio continente, la vita dell’ortolano appare legata in modo inscindibile alle aree aperte coltivate, sia in pianura che in collina, ove vi sia abbondanza di alberi e cespugli. Porzioni di incolto, muretti, margini rocciosi, occasionalmente cespugli nei pressi del bosco sembrano costituire il sito ideale per la costruzione del nido.

Un tempo piuttosto comune in tutta l’area euroasiatica, questa specie è attualmente raro e – come altre specie che dipendono da questi ambienti – ha sofferto in modo particolare per l’intensificazione delle pratiche agricole. In Italia l’Ortolano è nidificante e migratore: lo svernamento avviene nell’Africa subsahariana, a nord del 5° parallelo.

Lo Status

L’Ortolano ha stato di conservazione cattivo, a causa di una contrazione di areale e di popolazione e del degrado e della riduzione del suo habitat ottimale. Anche a livello continentale lo stato di conservazione della specie non è favorevole. La popolazione italiana conta verosimilmente 500-1.500 coppie e il trend appare sconosciuto negli ultimi decenni, sebbene vi siano evidenze di cali marcati a scala locale o regionale. 

L’Ortolano ha conosciuto un largo declino nell’intero continente europeo tra il 1970 e il 1990, parzialmente moderato nei decenni successivi. Attualmente, la popolazione nidificante nell’Ue è stimata in 430-700mila coppie, pari a una frazione molto modesta della popolazione continentale complessiva.

Meta di un congruo numero di individui di passaggio – i dati su ricatture e inanellamenti hanno identificato in Francia e Finlandia i due principali Paesi di provenienza – l’Italia ha visto una contrazione notevole della specie in particolare nelle aree coltivate di pianura. Spicca il caso della Lombardia, dove la specie, un tempo comune nei coltivi, è stata successivamente confinata alla fascia collinare prealpina, a sua volta interessata da un recente declino.

La specie resiste solamente in ambienti ristretti, per esempio nelle aree collinari marchigiane e in alcune aree del Lazio – oggetto di monitoraggio sono state in particolare le pendici del Monte Velino – utilizzate come pascolo o coltivate in modo estensivo, a quote anche abbastanza elevate, tra i 1.000 e i 1.200 metri. Anche qui, comunque, la densità media è di 1,34 maschi territoriali per 10 ettari, mentre altrove – ad esempio in Francia – nelle aree più favorevoli vengono raggiunte densità anche pari a 22.25 coppie per km², addirittura 180 in alcune porzioni della Bulgaria.

Le Minacce

Una grave minaccia è costituita dall’agricoltura intensiva, che comporta l’eliminazione di siepi, boschetti, prati e filari. Inoltre ha sicuramente risentito dell’omogeneizzazione delle coltivazioni, che ha privato l’Ortolano di quel mosaico di coltivi a diverse altezze e della disponibilità di terreni scoperti, così importante per la sua alimentazione. La meccanizzazione delle attività agricole è anche causa frequente di distruzione di nidi. La scomparsa del mosaico di campi, prati, siepi, cespuglieti e altri elementi marginali ha causato la scomparsa della specie da molte aree planiziali, confinandola dapprima in collina e successivamente in contesti montani. In questo senso, anche il processo di abbandono dei paesaggi agro-pastorali tradizionali, non intensivi, ha effetti paragonabili a quelli dell’intensificazione delle pratiche agricole e ha inciso (e tuttora incide) negativamente sulla specie, soprattutto in Appennino.

Localmente, variazioni climatiche – piovosità eccessiva durante il periodo di nidificazione – possono avere influito negativamente sulla specie negli scorsi decenni.

La Tutela

Fermare il declino della specie, almeno nei siti di presenza più significativa, appare una priorità per garantirne la sopravvivenza. Andrebbero identificate aree ristrette da gestire con criteri conservazionistici, in linea con le esigenze ecologiche della specie; prati, siepi, alberi e altri elementi marginali andrebbero ripristinati e salvaguardati. In generale, azioni volte a contrastare sia intensificazione che abbandono, incoraggiando la diversificazione dei coltivi su piccola scala e l’agricoltura non intensiva, rappresentano le misure generali più favorevoli per la specie, da incentivare nei Psr.

Un elemento chiave per la specie è rappresentato dalla presenza di chiazze di suolo scoperto o con vegetazione molto rada, utilizzate soprattutto per cacciare invertebrati.

Pendii a pascoli, incolti con ricca presenza di siepi, margini di campi tuttora coltivati in modo estensivo con limitazione nell’uso di pesticidi e nella meccanizzazione delle attività. Queste le aree residue – attualmente solo ristrette porzioni dell’Appennino centrale rispondono a queste caratteristiche – in cui l’Ortolano continua a nidificare con successo.
Per rendersi conto della criticità dello scenario attuale, è possibile utilizzare le densità note a livello internazionale in aree idonee alla specie, variabili tra le 4 coppie per km² nelle praterie francesi pseudosteppiche alle 14-17 nelle colline coltivate, fino alle 22.25 in pascoli rocciosi con ampia abbondanza di cespugli.

Senza considerare gli scenari estremi, è possibile comunque proporre la soglia di 8 coppie ogni 10 ettari su scala locale quale Valore di Riferimento Favorevole (FRV) per la specie. In aree particolarmente idonee, tale densità dovrebbe essere innalzata a una coppia per ettaro, mentre su scala di comprensorio la soglia minima accettabile è di 10 coppie per km². Densità più elevate possono comunque essere raggiunte in aree con ampie estensioni di pascolo su substrati parzialmente rocciosi e con ricca presenza di cespugli, come dimostrano gli ottimi valori registrati Oltralpe in questo tipo di ambienti.

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Ortolano © Gianfranco Cinelli, Emanuela Zucchelli