Verità e leggende sul barbagianni
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Candidi e paffuti, dal piumaggio luminoso e silenziosissimo, i barbagianni sono rapaci notturni estremamente affascinanti, ma il loro aspetto così originale li ha anche resi, nei secoli, oggetto di leggende non sempre lusinghiere. Eppure questi uccelli hanno un ruolo fondamentale in agricoltura, oltre ad essere stati fonte d’ispirazione per generazioni di scrittori e artisti.
I barbagianni sono fra i rapaci notturni e, più in generale, fra gli uccelli più diffusi al mondo, presenti ovunque tranne che in Antartide e riconoscibilissimi per quel loro disco facciale a forma di cuore e per il piumaggio quasi del tutto bianco o chiaro (questo vale in particolar modo per la specie diffusa in Europa, il Tyto alba alba). Originariamente abitavano le cavità e le rocce, ma col tempo capita sempre più spesso di trovarli in campagna, presso soffitte e granai (non a caso in inglese vengono chiamati “barn owls” ovvero gufi dei granai). Vivono da sempre vicino all’uomo e sono spesso vittime di superstizioni e associati a sinistri presagi, soprattutto per via del loro verso prolungato e stridente, molto diverso da quello di gufi e civette.
Barbagianni: storia di un nome
Per secoli non c’è stata una distinzione molto netta fra i barbagianni e gli altri rapaci notturni, tanto che in molte lingue (soprattutto nell’inglese, che usa il generico owl), non esiste un termine specifico per indicarli. La loro classificazione individuale risale al 1769 e si deve al naturalista tirolese Giovanni Antonio Scopoli, che nelle sue Anni Historico-Naturales attribuisce loro il nome scientifico di Strix alba. Studi condotti nei secoli successivi portarono alla differenziazione dei vari generi dei rapaci, dimostrando che i gufi comuni (del genere Strix) sono ben distinti dai barbagianni, i quali finiscono in una nuova categoria denominata Tyto (dalla parola onomatopeica greca per dire “gufo”, τυτώ) con l’attributo alba (dal latino “bianco”) per via del piumaggio candido. Ancora più travagliata è l’origine del nome comune barbagianni, la cui etimologia è tuttora incerta. L’ipotesi più probabile è che l’espressione sia un composto derivante dal latino barba, “peluria”, e gena, “gote”, in riferimento alle piccole piume sparse attorno agli occhi di questi uccelli.
Una cattiva fama: le leggende sui barbagianni
Forse per via del verso misterioso, del piumaggio bianco che li rende presenze “spettrali” nei loro silenziosi voli notturni (o ancora per l’abitudine di frequentare posti abbandonati, a caccia di topi) i barbagianni godono fin dai tempi più antichi di una fama negativa: molte popolazioni li considerano portatori di sventure, incarnazioni di streghe e maghi o veri e propri fantasmi. Spesso individuati con dei nomignoli come “gufo del demonio” o “civetta fantasma”, hanno nei vari secoli corso il rischio di essere sterminati per via di queste superstizioni e leggende. E questo è continuato fino ai giorni nostri: ancora negli ultimi decenni del ventesimo secolo in luoghi come le isole Canarie l’uccisione dei barbagianni ha portato alla riduzione drastica della popolazione locale, ridotta a una dozzina di esemplari.
Fortunatamente in condizioni favorevoli questa specie riesce a riprodursi con grande velocità e la legge oggi la protegge. Anche nell’italiano di uso comune il barbagianni ha un significato metaforico poco lusinghiero. La Treccani, infatti, attesta il significato di “uomo sciocco e brontolone”, sinonimo di “vecchio barbogio”. Anche qui per via della bianchissima barba. Eppure ci sono anche leggende positive legate a questi particolarissimi rapaci: nelle zone rurali del Sud della Francia, ad esempio, si credeva che il verso di un barbagianni appollaiato sul comignolo di casa preannunciasse l’arrivo di una figlia femmina.
I barbagianni nella letteratura
Se la sua distinzione rispetto alle altre specie di rapaci notturni è avvenuta solo in tempi recenti, non stupisce che abbiamo secoli e secoli di letteratura che parlano genericamente di gufi e civette, ma più raramente di barbagianni. Questi animali, però, negli ultimi decenni sembrano aver attirato l’attenzione di numerosi scrittori che hanno assimilato la loro figura, piena di suggestioni e di contrasti.
Nel 1982 Alberto Moravia pubblica Storie della preistoria, raccolta di racconti con protagonisti animali umanizzati e uno di questi è “Non conviene amare una cicognina”. A dispetto del titolo il protagonista è Barba Gianni, il solitario abitante di un’oscura grotta (dove gli tiene compagnia solo Pipi Strello), che un giorno si innamora di una sinuosa Ci Cognina. Quest’amore si rivelerà però corrisposto solo per un breve periodo e il nostro barbagianni si ritroverà, dopo una cocente delusione, a ritornare alla vita di sempre: “Barba Gianni disse: ‘Beh, vado a prendere un topo, per domani’. Pipi Strello gridò, testa in giù: ‘Come lo faremo?’. Barba Gianni rispose: ‘Al forno;’ e volò via”. Rimanendo in tema di favole e fantasia, i barbagianni non potevano ovviamente mancare nella saga di Harry Potter, che fa grande ricorso a rapaci notturni di ogni tipo, proprio per la loro associazione al mondo della magia. Sia nei libri che nei film compaiono molti barbagianni come “postini” alati che consegnano lettere spesso poco piacevoli: come le minacce ricevute da Hermione ne Il calice di fuoco o la missiva di Arthur Weasley a Harry all’inizio de L’ordine della fenice o le tante strillettere della zia di Neville Paciock. Ed è proprio a un barbagianni che probabilmente Shakespeare si riferisce in alcuni versi della terza parte dell’Enrico VI (atto quinto, scena 4) quando dice: “e chi non voglia combatter per tale speme, se ne vada a letto o, come il barbagianni di giorno in volo, sia oggetto di scherno e meraviglia”. Curioso è notare come questa sia la citazione apposta da Leonardo Sciascia all’inizio del suo romanzo Il giorno della civetta che, quindi, più propriamente, si sarebbe dovuto intitolare Il giorno del barbagianni.
Il barbagianni più famoso nella storia dell’arte
Come già visto, gli inglesi hanno un termine generico per indicare i rapaci notturni, owl, al quale viene associato di volta in volta un attributo. Non stupisce dunque che uno dei più famosi dipinti della pittrice ottocentesca Valentine Cameron Prinsep s’intitoli semplicemente The Owl, sebbene il protagonista sia chiaramente un candido barbagianni. La dama che regge il barbagianni è la pittrice e poetessa Elizabeth Siddal, una delle pochissime artiste donne ad affermarsi nell’Inghilterra di fine secolo, musa dei Preraffaelliti e questo dipinto, Il barbagianni, è una delle espressioni più piene e suggestive di quella corrente artistica. Ancora una volta il barbagianni assume un valore ambivalente: da una parte la sua candida bellezza è rappresentata con estremo e lusinghiero realismo; dall’altra l’associazione con l’eterea donna dai capelli rossi e con la pianta di melograno retrostante richiama un immaginario di morte. La musa ritratta nel quadro non è altro che Elizabeth Siddal, defunta moglie del poeta-artista Dante Gabriel Rossetti.
Ecco perché amiamo i barbagianni
Tutta questa lugubre nomea e il sospetto con cui ancora oggi in molti guardano a questi splendidi uccelli non rendono giustizia alla loro grandissima utilità nell’ecosistema agricolo. Essendo un predatore notturno che si nutre principalmente di piccoli mammiferi, infatti, il barbagianni è l’alleato perfetto degli agricoltori in quanto, cacciando topi e talpe, libera i terreni da presenze dannose per le coltivazioni.
Un altro aspetto apprezzabile è che i barbagianni sono rapaci stanziali e abitudinari, ad esempio mantenendo lo stesso partner per tutta la vita e cercandone un altro solo se il primo decede. Una traccia ben riconoscibile per individuare la loro presenza sono le borre, le palline fatte di ossa e piume che rigurgitano dopo essersi nutriti, attorno alla zona in cui risiedono: un segnale inequivocabile per studiosi di rapaci notturni e per gli amanti del birdwatching. Uccelli utili e straordinari, i barbagianni non meritano la cattiva fama costruita e non devono mai essere messi in pericolo per via della superstizione.
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